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Viene studiato il fenomeno delle clientele a Roma nel IV secolo d.C. e la loro composizione in rapporto sia al mob destrutturato dei residenti più ο meno transitori, sia al populus domo Roma (con privilegi politici suoi esclusivi). Combinando testimonianze letterarie, epigrafiche, archeologi- che, legislative e antiquarie, si cerca d'individuare la distribuzione topografica di siffatti gruppi clientelari (che sembrano prevalere in determinate aree) e il loro possibile collegamento con i frequenti disordini urbani del tempo. In apparenza tali sommosse esplodevano per motivazioni assai varie e spesso futili (fisiologiche in una megalopoli sovraffollata e sperequata economicamente e socialmente come Roma) ; di fatto, però, è possibile riconoscervi piuttosto, in molti casi, l'espressione patologica di competizioni più ο meno sotterranee fra alcuni potenti clans gentilizi cittadini. Attraverso i frequenti collegamenti con il mondo ludico (e le sue aree privilegiate, in ispecie quella transtiberina e vaticana) sia dei protagonisti sia dei «registi» di tali violenze (pagani e cristiani, questi ultimi in occasione soprattutto delle prolungate contese fra i partigiani di Damaso e quelli di Ursino dopo la morte di papa Liberio nel 366), si cerca d'individuare quali furono, in una città affatto speciale come Roma, le continuità e le disgiunzioni di comportamento e di mentalità durante il processo di cristianizzazione allora in atto. La tendenza dei cristiani ad estendere le proprie attività caritative (con la creazione conseguente di nuove «clientele») a tutti i residenti nei quartieri sia urbani sia extramurani della città, senza fare alcuna distinzione politica fra i peregrini e i cives Romani si rivelò ben presto vincente e anche più proficua a livello di affermazione «municipale», tanto da venire tosto adottata anche da certi aristocratici pagani.